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22/05/2015 - Responsabilita' medica: obblighi del professionista e grado di diligenza richiesta

La prevalente giurisprudenza di legittimità ritiene che l'inadempimento, da parte del medico, della propria obbligazione, generi un'ipotesi di responsabilità contrattuale sulla base del combinato disposto degli artt. 1218 e 1228 c.c..

 

L'obbligazione a cui è tenuto il medico è tipicamente professionale ed, in quanto tale, può essere legittimamente e pacificamente ritenuta di mezzi: il sanitario, in sostanza, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera intellettuale per il raggiungimento del risultato prefissato, non per conseguirlo necessariamente (Cass. Civ., 25/11/1994, nr, 10014). In quanto l'obbligazione del medico è di mezzi, e non di risultato, ne consegue che la legge richiede un grado di diligenza più elevato rispetto all'ordinario. Tale assunto è ricavabile dal secondo comma dell'art. 1176 c.c., il quale statuisce che la diligenza del professionista va valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata.

 

A tal proposito, la S.C. ha individuato nella condotta del sanitario la diligenza tipica del “debitore qualificato”, la quale è insita proprio nella natura dell'attività che il medico esercita (Cass. Civ., 01/02/2011, nr. 2334).

Alla luce di ciò, ne deriva che l'inadempimento da parte del medico consisterà nell'aver tenuto un atteggiamento non conforme alla diligenza qualificata richiesta, a prescindere dal fatto di non aver ottenuto il risultato possibile o sperato. La diligenza ex art. 1176 c.c., secondo comma, si traduce dunque in una serie di obblighi, ai quali il clinico deve attenersi per non incorrere in un'ipotesi di inadempimento contrattuale.

 

A titolo esemplificativo, seguendo il solco tracciato dagli Ermellini, possiamo individuare i principali doveri che gravano su due specifiche figure sanitarie, il chirurgo ed il primario ospedaliero.

In merito al primo caso, il chirurgo è tenuto a monitorare in prima persona l'intero iter operatorio, dalla fase preparatoria sino a quella post-operatoria, ponendo in essere tutte quelle precauzioni conoscibili e conosciute dalla scienza al momento dell'intervento.

Quanto agli obblighi gravanti sul primario ospedaliero, la Suprema Corte assume una linea più severa e rigorosa. Difatti, nel corretto adempimento della propria obbligazione, spetta al primario, tra l'altro, la definizione dei criteri diagnostici e terapeutici, la conoscenza precisa e non superficiale delle situazioni cliniche presenti nella divisione, l'adozione di rimedi e di provvedimenti in caso di emergenze, ed il controllo sull'operato dei collaboratori (Cass. Civ., 25/02/2005, nr. 4058).

In base a tali premesse, la S.C. ha più volte riconosciuto la responsabilità solidale del medico intervenuto e del primario della divisione per i gravi danni alla salute riportati dal paziente ad opera del primo soggetto (cfr., Cass. Civ., 29/11/2010, nr. 24144). La ratio di tale rigore è giustificata da due elementi: da un lato, il primario è collocato al vertice di una determinata divisione ospedaliera, dall'altro spetta a costui anche la vigilanza sulle attività poste in essere dai propri sottoposti.

 

In conclusione, l'inadempimento dell'obbligazione gravante sul medico, genera un'ipotesi di responsabilità contrattuale, la quale rende legittima e corretta la richiesta di risarcimento dei danni da parte del paziente leso. La situazione de quo si profila, qualora il professionista venga meno ai suoi obblighi attraverso una condotta negligente ed imperita, indipendentemente dalla presenza o meno di un contratto di prestazione d'opera intercorrente tra il medesimo ed il degente. Il medico, inoltre, risponde della mancata prestazione sia nel caso di dolo, sia in quello di colpa grave o lieve.


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